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Vivian Maier, rubare gli istanti

New York, 1954. Capelli corti, abito dal colletto tondo, prime rughe attorno agli occhi, ventotto anni, Vivian Maier ha risposto a un'inserzione sul New York Herald Tribune. Cercavano una tata. Un lavoro giusto per lei. Le famiglie l'hanno sempre incuriosita. La affascina entrare nel loro mondo, diventare spettatrice dei loro piccoli drammi senza esserne partecipe, e osservare la recita, la pantomima della vita, per scorgerne la crepa nascosta.

A lei basta poco: una stanza dove raccogliere le sue cose; una città, come New York, dove potere osservare le vite incrociarsi sulle strade, scrutare mani che si stringono, la rabbia di un gesto, la tenerezza in uno sguardo, l'insopportabile caducità di ogni istante. Ed essere, nello stesso tempo, invisibile.

Sola nella camera che le è stata assegnata, Vivian scosta le tende dalla finestra, estrae dalla borsa la sua Rolleiflex e cerca la giusta inquadratura per catturare il proprio riflesso che appare contro l'oscurità del vetro. È il solo gesto con cui Vivian Maier trova il suo vero posto nel mondo: stringere al ventre la sua macchina fotografica e rubare gli istanti, i luoghi e le storie che le persone non sanno di vivere.

La storia di una delle fotografe più visionarie del Novecento, rimasta sconosciuta per decenni, raccontata da Francesca Diotallevi, autrice di Dai tuoi occhi solamente (Neri Pozza) e da Matteo Fumagalli.