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Fra beat e punk: dieci anni di controcultura a Milano

All’alba del 12 giugno 1967 la polizia sgomberò il campeggio beat di via Ripamonti; con questo blitz - richiesto a gran voce da buona parte dell’opinione pubblica moderata cittadina (Corriere della Sera in testa)- terminò la breve esperienza beat milanese. Ma non scomparvero di certo alcune sue manifestazioni, negli stili di vita, nella critica alla società dei consumi o nell’abbigliamento, che si ritroveranno in alcune componenti del movimento sessantottino. 

Fra i protagonisti del movimento beat e del successivo ’68 milanese va ricordato prima di tutto Andrea Valcarenghi, che agli inizi degli anni ’70 fondò la rivista “Re Nudo”, allo scopo di conservare il patrimonio ideale e culturale underground del ’68-’69, che aveva visto sorgere nuovi soggetti antagonisti (studenti e operai) e rilanciato l’area libertaria, situazionista, trasgressiva già presente nei beat. 
Uno degli scopi del “Re Nudo” era quello di creare spazi di socialità al di fuori di quelli istituzionali, capaci di di aggregare i giovani secondo modelli provenienti dalle esperienze underground americane. Nacquero in questo modo i grandi festival pop, che dall’edizione milanese del 1974 prenderanno il nome di “Feste del proletariato giovanile”. 

Nel 1977 arrivò poi a Milano il movimento punk, facendo però fatica a trovare un proprio spazio fra i movimenti giovanili, in quel momento interessati ad altre metodologie di lotta politica. Negli anni finali degli anni Settanta il punk non era ancora quel movimento strutturato che diventò agli inizi degli anni Ottanta con l’esperienza del Virus.

Di questo e di altre vicende ancora ne parleranno lo scrittore Marco Philopat (Agenzia X Edizioni) e lo storico Nicola Del Corno (Università degli Studi di Milano)

Foto di copertina di Dino Fracchia.