Quasi 15 anni fa usciva in Italia un libro grottesco e raccapricciante, vertiginoso nella sia brevità (130 pagine magistrali), che parla di sirene, uomini e confini: quelli labili tra umano e non umano, che separano in modo univoco le specie, e che in un prossimo futuro (quello immaginato in questa distopia ambientalista e femminista) vengono scavalcati da una nuova vita cosciente capace di salvare il mondo da noi distrutto.
Laura Pugno racconta un nuovo e diverso umanesimo, decentrato e delocalizzato: l’uomo vive al buio nascosto dalla luce solare (che è diventata mortale), su una Terra sfinita rimasta senza risorse, in un mondo dominato dalle mafie internazionali.
Qui le sirene escono dal mito, sono creature violente che sbranano i propri compagni e per l’uomo non sono altro che carne da macello, allevate e sfruttate per soddisfare una fame (alimentare, sessuale, ma anche di potere) crescente: caleidoscopico simbolo non solo di un’industria brutale ma anche del corpo della donna schiavizzato e abusato.
Dall’unione carnale tra Samuel, sorvegliante di una vasca d’allevamento, e una sirena femmina in cattività nasce Mia, un essere a metà tra l’umano e l’animale: sembra quasi parlare (il canto della sirena forse è un ultrasuono silenzioso, forse una voce incomprensibile, o forse solo un lamento?), può sopravvivere al sole maligno grazie alla sua pelle putrida, ma è soprattutto una fragile promessa di sopravvivenza.