Lo spritz

Aperol o Campari? Se l’aperitivo fosse un regno, lo spritz senza dubbio ne sarebbe il re. Elemento fondante del pre-dinner di moltissimi milanesi, esportato nel mondo nelle innumerevoli pubblicità dell’Aperol a immagine di un’italianità speak-easy e un po’ frivola, lo spritz è in realtà (come spesso accade per molte cose buone) inaspettato frutto dell’incontro di culture diverse. Anni ‘20 dell’Ottocento; da qualche anno gli austriaci occupano il Lombardo-Veneto; un giorno, una truppa austriaca stanca ed assetata entra in un’osteria locale e si ordina un bianchino, ma c’è un inghippo: il vino è forte, fin troppo, per il palato dei soldati, abituati a gradazioni più modeste. Oste! Vieni qua per piacere, allungami un po’ il vino, magari spruzzaci dentro del seltz: spritzen, spritzen, dicono gli austriaci. L’oste spruzza. Molto meglio, il preparato piace, la voce si sparge: è nato lo spritz. Un centinaio d’anni più tardi lo spritz assunse la fisionomia attuale. Si pensò infatti di unire all’usanza di allungare il bianco (oramai diffusa largamente anche tra i locali) l’Aperol, presentato solo qualche anno prima alla fiera di Padova. Oggi, lo spritz sta vivendo i suoi anni d’oro: da noi è di gran lunga la preparazione più richiesta, nelle sue numerosi varianti (Aperol, Campari, St. Germain, Cynar, con vermouth bianco, fiori di sambuco...). È bello prepararlo, è bello berlo: buono sempre, migliore con gli amici.

Chiara, 21 febbraio 2020