Macchine come me

Il nuovo romanzo dell’autore britannico Ian McEwan, pubblicato in Italia questo autunno da Einaudi, affronta la complessa tematica del rapporto tra l’essere umano e l’intelligenza artificiale, a cui segue un altrettanto spinosa discussione riguardante i dilemmi etici che ne derivano.

Siamo nel 1982, ma il lettore non dovrà immaginarsi un mondo di capelli cotonati, fuseax colorati e concerti di Madonna. Gli anni ’80 di cui parliamo sono tecnologicamente molto più avanzati e diversi avvenimenti storici hanno preso una piega differente: Margaret Thatcher ha appena perso rovinosamente la guerra delle Falkland e i Beatles si sono riuniti e hanno appena inciso un nuovo singolo, “Love and lemons”, di grande successo. Alan Turing non si è suicidato in seguito alla sua condanna per omosessualità, ma anzi è vivo e contribuisce allo studio e all’evoluzione della intelligenza artificiale.

La voce narrante è quella del protagonista, Charlie Friend, trentenne amante della tecnologia, che, dopo aver ereditato una fortuna dalla madre, decide di spenderla nell’acquisto di una nuova forma di androide di ultima generazione, Adam (Eve, la sua variante femminile, non era più disponibile).

Nell’attivazione del suo nuovo giocattolo tecnologico, Charlie, con l’aiuto della vicina Miranda, sceglie tra varie possibilità l’impostazione della sua personalità. Ben presto però, questa procedura si rivela piuttosto inefficace; Adam, infatti, mostra una forte determinazione nell’affermare la propria autonomia, sia fisica (disattiva il pulsante di emergenza con cui può essere spento), che, soprattutto, morale.

Charlie e Miranda vengono messi di fronte all’inevitabile imperfezione umana nella condotta delle valutazioni etiche, continuamente condizionate da sentimenti, autoinganni, pregiudizi. Gli androidi, al contrario, non trovano alcun ostacolo passionale nell’applicazione della giustizia alle loro scelte, avendo una mente completamente impreparata alla menzogna (come spiegare loro il senso di una bugia generosa, detta per risparmiare l’imbarazzo ad un amico, o di una menzogna in grado di mandare in carcere un assassino?).

McEwan ci obbliga a riflettere sulle reali motivazioni che muovono la nostra condotta morale, portando il lettore ad interrogarsi sulla validità del nostro personalissimo senso di giustizia, mai puramente oggettivo. È realmente giustificabile costruire un’etica che ammette eccezioni in nome delle nostre emozioni?

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Maria, 02 dicembre 2019