Agli inizi del Novecento una donna ebbe il merito di introdurre in Italia temi che fino ad allora non avevano avuto voce (non letteraria per lo meno): si chiamava Marta Felicina Faccio, e con il nome di Sibilla Aleramo pubblicò (dopo essere stata respinta da 3 editori) Una donna, ritenuto oggi il primo romanzo femminista italiano.
Un’autobiografia scritta come un romanzo, con una prosa elegante e ben calibrata, in cui l’autrice ci accompagna nel museo della sua vita. Ci mostra l’infanzia, vissuta idolatrando il padre a discapito del rapporto con la madre, remissiva e poco interessante; poi il trasferimento in una piccola cittadina, dove scopre quanto possano essere soffocanti la provincia e i panni della ragazzina perbene; infine l’incontro con l’uomo che la violenta e sarà costretta a sposare. Da lì in poi, un cammino difficile e sofferto di emancipazione e rigenerazione, con tutti i sacrifici che esso comporta.
Stupiscono alcune riflessioni che ancora oggi risultano tremendamente attuali sulla rinuncia e il sacrificio: sembra che per diventare madre tu debba abbandonare l’essere donna e prima ancora una persona, per diventare una brava moglie cedere completamente la tua libertà a uomo, anche nel barbarico contesto di un matrimonio riparatore.
Una donna non è una lettura da affrontare a cuore leggero: le tematiche, difficilissime sono trattate con sincerità e profondità, dalla violenza fisica e psicologica alle complessità del suicidio.
Proseguendo la lettura diventa chiaro l’intento dell’autrice, che scrive sì un’autobiografia ma decide di intitolarla genericamente “Una donna” e non dà nome ai suoi personaggi, indentificandoli semplicemente con il loro ruolo (padre, madre, uomo): questo libro è di Sibilla e insieme di tutte le donne, narra le vicende di una vita autentica con elementi comuni e riconoscibili in cui ritrovarsi che serva da abbraccio universale “donne, non siete sole” e trasmetta ideali di forza e indipendenza.
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